Autore: Valentina Re

Editore: il lavoro culturale

Tipologia Prodotto: Articolo in rivista

Titolo della Rivista: Il lavoro Culturale

Codice ISSN: 2384-9274

Anno di Pubblicazione: 2020

Link: https://www.lavoroculturale.org/covid19-produzione-audiovisiva/

Cinema, serie tv ed “evasione”

Voci dal mondo della produzione audiovisiva ai tempi dell’emergenza Covid-19.

Nel quadro drammatico dell’emergenza sanitaria e dell’impatto delle misure di distanziamento sociale sul settore audiovisivo, abbiamo intervistato rappresentanti delle film commission e sceneggiatori già coinvolti nel progetto europeo DETECt—Detecting Transcultural Identity in European Popular Crime Narratives. Le loro voci ci offrono un lucido spaccato della situazione attuale, in cui fiducia e preoccupazione convivono.

E-vadere, ovvero, «fuggir dal luogo in cui uno è chiuso». Tale luogo può essere naturalmente fisico e concreto, come il carcere, ma anche metaforico, come una particolare «condizione morale o spirituale», o «un modo di vita, che siano divenuti insopportabili o siano causa di disagio e di sofferenza»(Treccani): letterale o figurato che sia questo “ambiente” in cui ci troviamo rinchiusi, l’azione di evadere rappresenta un atto di liberazione. Eppure, quando parliamo di letteratura d’evasione, o di cinema d’evasione, non è esattamente a un atto di liberazione da una condizione di difficoltà a cui pensiamo. Associata alle arti, ai media, ai racconti, l’evasione si carica immediatamente di connotazioni in qualche modo peggiorative: letteratura d’evasione sarebbe solo quella «letteratura che, all’opposto di quella “impegnata”, elude prese di posizione ideologiche, problematiche sociali o morali, e simili, privilegiando invece contenuti, intrecci e situazioni in cui prevalgono la fantasia, il sentimento e l’avventura» (Treccani).

La condizione di distanziamento sociale in cui tutti ci troviamo ci mette di fronte al pregiudizio di questo uso linguistico, e soprattutto ci fa sperimentare con una forza inedita la capacità della letteratura, del cinema, della serialità televisiva, delle storie, insomma, di farci evadere (o “liberarci”) in molti modi possibili: non necessariamente per fuggire verso mondi esotici e avventurosi, ma sempre per abitare temporaneamente mondi altri, che ci permettono di guardare da un altro punto di vista il “luogo” fisico o mentale in cui siamo chiusi. A ben guardare, un ragionamento analogo lo si potrebbe fare a proposito del termine intrattenimento, che rimanda alle azioni di «fare indugiare, ritardare, tenere a bada, ritenere presso di sé»: ovvero, di trattenere, di assistere nella pausa, di accompagnare nella sospensione delle azioni – senza pregiudizi di “futilità”.

Si potrà obiettare che, nel periodo di emergenza sanitaria e distanziamento sociale che stiamo vivendo, l’appello alle funzioni fondamentali delle storie sia retorico e strumentale. Bene, se qualcuno ne è convinto, lasciamo pure da parte il valore “simbolico” delle storie, e pensiamo al loro valore “economico”, e a tutto il mondo professionale che le porta dentro le nostre case. Perché, al contrario di quanto afferma un tenace luogo comune, con la cultura si mangia eccome, nonostante l’Italia sembri inserirsi relativamente sul valore, economico e di più ampio e diffuso beneficio sociale, delle industrie culturali e creative: secondo i dati del 2015, con oltre 41 miliardi di euro, il settore creativo in Italia si collocherebbe davanti a quello delle telecomunicazioni (38 miliardi) e subito dopo l’industria chimica (50 miliardi) (Italia creativa).

Oggi, a seguito dell’emergenza sanitaria e delle misure di contenimento del contagio da Covid-19, tale comparto sta subendo ricadute drammatiche. Barbara Petronio, sceneggiatrice di Suburra e Romanzo criminale, e Federico Poillucci, Presidente della Film Commission del Friuli Venezia Giulia, descrivono con la stessa parola, “devastante”, l’impatto dell’emergenza sul settore dell’audiovisivo.

Le prime a chiudere sono state le sale cinematografiche. Progressivamente, i festival sono stati via via cancellati o rimandati. Infine, si sono fermati i set. Improvvisamente, nell’ottica dell’emergenza, la dimensione radicalmente collettiva e in presenza dell’esperienza audiovisiva si è riconfigurata come “assembramento”, e dunque come tale vietato in quanto pericoloso e imprevedibile veicolo di contagio. Ancora prima che i provvedimenti normativi chiudessero i set, ci spiega Poillucci, questi si sono bloccati perché le assicurazioni non riuscivano più a quotare il rischio per il “fermo set”, divenuto troppo alto e troppo aleatorio, o lo quotavano a cifre inaccessibili ai produttori (un problema che peraltro rischia di ripresentarsi nella fase di gestione post-emergenza).

Sul fronte della reazione immediata all’emergenza, e delle misure straordinarie a sostegno dell’economia, i lavoratori dello spettacolo sono rientrati nei provvedimenti già assunti, assimilati a seconda dei casi ai lavoratori autonomi o dipendenti. L’unico provvedimento straordinario specificatamente rivolto alle maestranze del settore non proviene da iniziativa statale ma da un privato, il colosso globale dell’intrattenimento online. Netflix ha consultato le film commission regionali, organi di interconnessione tra il tessuto territoriale e le produzioni audiovisive, per mappare i set fermati nella finestra 20 febbraio-31 marzo al fine di elaborare le linee guida per lo stanziamento di 1 milione di euro.

E sul fronte della ripresa? Secondo Fabio Abagnato, responsabile dell’Emilia Romagna Film Commission, «le misure iniziali non possono che essere nella direzione della liquidità e della semplificazione». Occorre vigilare, ricorda Poillucci, «perché la tendenza è sempre quella di pensare che cinema, teatro, audiovisivo, musica, siano un orpello, l’ultima cosa a cui pensare. Ma che non siano un orpello penso che la quarantena che stiamo passando lo stia dimostrando… Come staremmo se non avessimo l’arte, i libri, la musica, i film?». E se non bastasse questo, occorre ancora una volta ricordare che quello dello spettacolo è un comparto produttivo come tutti gli altri, e anzi tra i più penalizzati dalla situazione attuale, e i finanziamenti già programmati vanno interamente confermati senza tagli legati allo stato emergenziale.

Inoltre, Abagnato e Poillucci convergono nel sottolineare l’importanza di un’azione tempestiva anche sul fronte delle nuove norme che dovranno regolare le attività dello spettacolo, dalle sale ai set. Precisa Abagnato: «Bisognerà riscrivere le “regole” su come gestire un set al tempo del Covid-19, ovvero se e come limitare le libertà creative della interpretazione e della ripresa cinematografica, per non parlare dei mestieri a supporto dell’attore, come il comparto trucco e parrucco. Prima le autorità sanitarie renderanno esplicita la situazione imminente e prima ogni settore potrà essere ripensato, temporaneamente o con caratteristiche di permanenza». Senza contare la possibilità, ricordata da Poillucci, di dover anche far fronte ai potenziali effetti di congestione che si produrranno alla ripresa, a livello sia di produzione che di esercizio, con il rischio per i progetti finanziariamente più deboli di soccombere, e per i film indipendenti di non riuscire ad arrivare in sala.

Ci sono però almeno due attività, nel settore dell’audiovisivo, che l’emergenza sanitaria non ha bloccato: lo sviluppo di nuovi progetti e la scrittura, il lavoro degli sceneggiatori. Sebbene anche queste attività abbiano una marcata dimensione collettiva, si tratta di un lavoro collettivo che può essere riorganizzato e gestito a distanza. «Io da sceneggiatore sono un privilegiato” dichiara Tommaso Matano, sceneggiatore di Curon e di Sopravvissuti, «perché il mio lavoro può proseguire nonostante l’emergenza. La parte dello sviluppo è l’unica che può andare avanti ed è quella su cui le produzioni possono concentrarsi in attesa di tempi migliori». «E questo», continua Barbara Petronio, «ci dà la spinta ad essere positivi, a mettere in cantiere idee e storie per quando tutto questo sarà finito. Perché ce lo dice la storia dell’umanità che poi, dopo la crisi, arriva il momento di sollevarsi».

A distanza, Giampiero Rigosi e Sofia Assirelli stanno sviluppando insieme la terza stagione di La porta rossa. La collaborazione è agevolata dalla lunga conoscenza e dalla confidenza che col tempo si è consolidata, ma creare “da remoto” non è la stessa cosa: «Fare brainstorming attraverso questi strumenti è possibile», commenta Sofia Assirelli, «ma è diverso. La creatività ha bisogno anche di giri larghi, di pause, di battute, di leggerezza, mentre le riunioni via Skype, Meet o Zoom vanno sempre dritte al punto». Una riflessione che varrebbe sicuramente la pena estendere anche a tante altre attività che, spostate online, non sono più (nel bene e nel male) le stesse attività di prima.

Nel quadro drammatico di questa crisi, il punto di vista degli sceneggiatori, consapevoli del “privilegio” di poter continuare a lavorare in sicurezza per “nutrire” il settore in attesa della ripartenza, rappresenta una chiave di lettura che può consentirci di guardare al presente con un margine di fiducia e di ottimismo. Ma non dobbiamo dimenticare, e non dimenticano gli sceneggiatori, gli altri lavoratori della filiera audiovisiva, e la necessità urgente di prepararsi a un futuro pieno di incognite.

Sul fronte della scrittura, osserva Assirelli, «è molto difficile prevedere già da ora cosa cambierà». In un ipotetico futuro con molti progetti sul mercato, e una propensione all’investimento forse ancora minata dalla difficoltà di gestire la fase di ripresa, «gli sceneggiatori, per paura dell’incertezza, potrebbero dover accettare condizioni di lavoro fino a quel momento inaccettabili, e questo va evitato. Questa crisi potrebbe mettere in luce e aggravare problemi già esistenti nel settore, ma potrebbe essere  anche l’occasione per regolamentarli e risolverli». 

Tommaso Matano si sofferma invece sulla crisi dell’esercizio. «L’emergenza rilancia il già infuocato dibattito sul rapporto tra la sala cinematografica e la fruizione domestica. La questione è se sia possibile, almeno in questi mesi, trovare una sinergia tra i servizi di streaming e i cinema. So che in Italia produttori, distributori ed esercenti hanno chiesto al MIBAC una deroga in modo da poter usufruire del tax credit e altre agevolazioni per i loro film anche senza l’uscita in sala, ovvero assimilando quest’ultima all’uscita su una piattaforma online. Questo da un lato alleggerirebbe la congestione di titoli alla riapertura dei cinema, e dall’altro darebbe adesso visibilità (anche se “casalinga”) a film che altrimenti soffrirebbero la competizione in sala. Inoltre, la distribuzione direttamente sui servizi di streaming dovrebbe garantire anche un contributo di solidarietà agli esercenti. Per quel che ne posso capire, mi sembra una buona idea».

Barbara Petronio ci riporta, infine, all’emergenza dei set: «perché si possono sviluppare le idee più belle del mondo», ricorda, «ma se non si trova il modo di realizzarle rimangono carta stampata. Probabilmente il settore dell’audiovisivo sarà l’ultimo a riprendere, perché l’intrattenimento e quindi l’arte, in una fase del genere, è ritenuta superflua, non necessaria. Ci sono varie idee che stanno emergendo in questi giorni, test alle troupe, set blindati. Credo che il dibattito sarà complesso e non penso che ne usciremo facilmente. Potrebbe essere anche l’occasione per cambiare modo di lavorare, forse anche in meglio».

Last modified: